Posso dire di essere stata allevata dai cani di famiglia, e alcuni di loro giravano per il paese insieme a me o per i fatti loro, destreggiandosi tra le strade in totale autonomia.
Allora il mio rapporto con questi era decisamente alla pari, e le decisioni si prendevano insieme: io vado di qua, tu cosa fai? Vieni o ci troviamo dopo per tornare a casa?
E era un gran bel rapporto, senza ansie nè imposizioni. Nessuno di
loro aveva problemi comportamentali, non tiravano a guinzaglio (le
poche volte che era necessario usarlo), non distruggevano casa (se
desideravano allontanarsi lo facevano), non sporcavano dentro (i loro ritmi biologici si svolgevano in modo naturale e spontaneo), non accumulavano tensioni (perché potevano impiegare le loro energie in modo biologicamente costruttivo e finalizzato).
Ovviamente al giorno d’oggi è impensabile uno stile di vita di questo tipo, se non in poche realtà ancora strutturate in un certo modo. Ma i cambiamenti avvenuti a livello ambientale corrono senza dubbio più veloci di quelli che avvengono a livello di adattamento della specie, e questo vale anche per i cani.
Per questo motivo ritengo che i problemi di quotidianità (più o meno gravi) vissuta con un cane siano riconducibili nella maggior parte dei casi allo stile di vita che gli viene imposto, e al fatto che gli viene negata la possibilità di esprimere la sua natura.
La sfida consiste nel riuscire a trovare un compromesso che permetta all’intera famiglia di vivere i suoi spazi, fisici e mentali, senza che vi sia un elemento costretto a sacrificarsi più degli altri.
LA RELAZIONE UOMO CANE
APPROCCIO SISTEMICO, CONOSCENZA E ASCOLTO:
LE FONDAMENTA DELL’EQUILIBRIO
Se consideriamo il cane come un individuo dotato di una mente (e su questo ormai neppure la scienza ha più alcun dubbio) dobbiamo senza dubbio approcciarci al suo modo di esprimersi con un atteggiamento di tipo sistemico, considerando cioè l’intero ventaglio di esperienze sociali e ambientali che costruiscono e hanno contribuito a costruire il suo profilo caratteriale.
Dobbiamo cioè occuparci non tanto di un comportamento specifico, che origina un problema di convivenza,ma di tutto ciò che è presente nella vita del cane: dalle competenze sociali all’alimentazione; dai comportamenti alimentari all’assetto ormonale (sterilizzazione, sì o no); dal rapporto con la salute e la malattia a quello con la componente predatoria della sua natura; dall’universo familiare al rapporto con il mondo esterno, dove, in entrambi i casi, il ruolo che riveste è fondamentale sia per il soggetto che per il gruppo cui appartiene.
La base di partenza deve essere la conoscenza, la capacità cioè di comprendere le esigenze di base della specie, in cosa sono sovrapponibili a quelle dell’uomo e in cosa invece si differenziano, e in che modo colmare gli eventuali gap.
Ma la conoscenza della specie, pur essendo fondamentale, non è sufficiente a comprendere il singolo individuo, il cui comportamento, le cui scelte, le cui decisioni, assumono sempre il valore di un mondo a sé, che pur mantenendo delle caratteristiche di base comuni, si differenzia in molteplici, importanti, particolari, che rendono ogni individuo un universo unico.
Questa unicità può essere compresa solamente grazie ad un atteggiamento di ascolto, che ci permette di svolgere il nostro ruolo di guida e di intermediario tra il mondo del cane e quello degli uomini, interpretando le necessità del nostro cane e aiutandolo a raggiungere e mantenere il suo equilibrio.
A mio avviso, un percorso che abbia come obiettivo lo sviluppo delle potenzialità del cane declinate all’interno di una società prettamente umana, quindi nel rispetto delle regole sociali, non può porsi come traguardo l’obbedienza, bensì la capacità di operare scelte adeguate. Compito del professionista è quello di guidare la famiglia mista verso tale traguardo.