Darwin, si sa, è stato un grande naturalista e ricercatore, e nessuno può mettere in discussione il suo valore. Ma molte delle teorie che ha formulato negli anni sono state oggetto di revisione da parte di altri studiosi che, grazie a tecnologie più moderne, a successive scoperte nel campo della genetica, e a reperti archeologici di cui lui ancora non disponeva, hanno potuto godere di maggiori informazioni rispetto a quelle di cui lui fosse in possesso.
Una di queste teorie è quella sulla domesticazione del lupo e la nascita della specie cane.
Secondo Darwin infatti il cane sarebbe una specie formatasi attraverso una selezione non operata dalla Natura bensì dall’essere umano, quindi da una selezione artificiale, e il cane risulterebbe essere quindi un prodotto della manipolazione genetica da parte dell’uomo. I cani selvatici di conseguenza sarebbero semplicemente animali domestici rinselvatichiti.
Ma studi e ricerche successive hanno rivisto ampiamente queste posizioni. Attualmente la più accreditata è la teoria formulata da Raymond Coppinger, secondo il quale i cani derivano da quei lupi che si sono adattati ad una determinata nicchia ecologica (gli insediamenti umani) dando vita ad una specie nuova attraverso la selezione naturale di quei soggetti che presentavano caratteristiche che garantissero il successo in quell’ambiente.
Infatti si è potuto constatare che adottare cuccioli di lupo, tenerli in cattività e farli riprodurre tra loro non porta, neppure nell’arco di parecchie generazioni, a quei mutamenti fisici e comportamentali che costituiscono le differenze tra cani e lupi.
Nel Mesolitico inoltre è molto difficile ritenere possibile che l’umanità possedesse gli strumenti necessari a contenere in modo efficace dei lupi, conoscesse le leggi della genetica e disponesse di una tale quantità di soggetti da poter promuovere processi di selezione simili all’esperimento di domesticazione delle volpi portato avanti da Belyaev.
Quindi, secondo Coppinger, quei lupi che meglio si adattavano alla nicchia ecologica inconsapevolmente creata dall’uomo quando ha cominciato a vivere in modo stanziale, creando così accumuli di rifiuti (feci, carcasse, resti di cibo), riproducendosi tra loro hanno cominciato a dare origine ad una specie che rappresentava caratteristiche peculiari: dimensioni del corpo e del cranio più piccole (utili ad intrufolarsi meglio tra i rifiuti, ma anche a dare un aspetto meno minaccioso all’individuo, rendendo più accettabile la sua vicinanza da parte degli esseri umani); minore distanza di fuga dall’uomo (che permetteva ai soggetti meno nervosi di mangiare meglio e di più); maggiore tolleranza alla promiscuità, che permetteva di condividere le risorse disponibili in abbondanza accettando la presenza di conspecifici; tendenza a non riunirsi in branchi molto strutturati gerarchicamente (utili per cacciare e difendere risorse difficili da reperire ma non necessari per il nuovo stile di vita) ma piuttosto a convivere tra individui in modo più alla pari; minore abilità nella caccia (che ha portato questi individui a scegliere strategie di sopravvivenza alternative). Tutte quelle caratteristiche insomma che costituiscono in effetti le differenze tra cane e lupo.
La loro presenza era tollerata dagli umani in quanto teneva distanti lupi e altri animali pericolosi e nocivi dagli insediamenti, era utile a dare l’allarme in caso di pericoli in avvicinamento e contribuiva alla pulizia del territorio.
Solo in un secondo momento è intervenuto l’uomo, inizialmente forse in modo inconsapevole nutrendo di sua mano quei soggetti che apprezzava di più, per l’aspetto o per il comportamento, per poi spingersi oltre e iniziare un vero e proprio processo di selezione genetica volto a costruire strumenti da utilizzare per il proprio tornaconto.
Ma ancora oggi, in moltissime parti del mondo (la maggioranza per essere precisi, in un rapporto di 1 a 4) la relazione cane-uomo resta basata principalmente sul commensalismo, né più né meno di tante altre specie che vivono all’interno dell’ecumene.